Spesso la cucina tradizionale è oggetto di accese discussioni. Alla base ci sono sempre alcuni ingredienti che nessuno può discutere, quelli che caratterizzano e spesso danno il nome alla ricetta. Poi ci sono quelli che servono a esaltarne o caratterizzarne il sapore e, spesso, è proprio su quelli che si scatenano le liti più furibonde.
E allora è necessario chiarire che la cucina tradizionale è proprio questa, cioè quella fatta di varianti personali e familiari, purché non stravolgano il piatto. In ogni casa esiste una variante, un segreto, un accorgimento che rende quella preparazione, in un certo senso, unica.
Da questo punto di vista il piatto della tradizione pugliese che più scatena le discussioni su questo o quell’ingrediente è la Tiella di patate riso e cozze, con le sue stucchevoli diatribe sul nome o sull’inserimento o meno della zucchina. Discussioni che fanno ben comprendere quanto su un piatto così popolare, tutti si sentano in diritto di tentare di imporre il proprio punto di vista, anche coloro che, magari, non l’hanno neppure mai preparata.
Altro piatto che scatena discussioni è sicuramente la Focaccia barese, la cui vera versione sembra essere un’esclusiva dei panettieri, dotati di forni professionali che consentono il mantenimento della giusta umidità. In casa è difficile ripetere il risultato a causa della temperatura troppo bassa raggiunta dal forno casalingo.
Ma questi sono argomenti che meritano spazio e ne parlerò in seguito.
Oggi ho voglia di parlare di una ricetta della cucina pugliese che mi sta a cuore, i Vermicelli alla Sangiuannidde, protagonisti della Vigilia di San Giovanni, ma anche di tutte quelle volte in cui si ha voglia di un piatto semplice e sfizioso.
Qualche giorno fa ne parlavo con il mio amico Pasquale Martinelli, cuoco molese trapiantato a Brooklyn,
che fa di questo piatto la sua bandiera, al punto da averlo cucinato a personaggi del calibro di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, Liza Minnelli, Paul McCartney e persino all’ex Segretario di stato statunitense e Nobel per la pace Henry Kissinger.
In particolare la sera in cui quest’ultimo è andato a mangiare da lui eravamo in contatto in diretta su facebook perché alcuni accorgimenti, di cui gli avevo parlato durante la sua vacanza in Puglia, gli erano particolarmente piaciuti e voleva rifarli.
Pasquale poi è un personaggio di una simpatia straripante e quella sera è stato un po’ come essere lì con lui e il mitico Henry.
Ecco, quindi, il dettaglio dei vari passaggi di questo piatto, corredati di 18 foto per farlo – come si dice – “a regola d’arte”, con tanto di piccoli accorgimenti che lo rendono più gustoso e la spiegazione di alcune tra le varianti in uso nelle varie famiglie baresi. Tralascio le quantità, perché è un piatto che si fa a occhio e a gusto personale. Mi spiego meglio: la dose normale di vermicelli dovrebbe essere di circa 80 grammi, ma spesso di questo piatto se ne prepara di più.
La quantità di acciughe dipende da quanto vogliamo sentirle, stessa cosa vale per l’aglio, che tradizionalmente va messo tritato ma se non lo si gradisce può essere messo intero e poi eliminato.
Ecco, allora, il procedimento:
Tirare fuori dal boccaccio le “alisce du sprone”, cioè le alici sotto sale grosso, che possono essere preparate in casa oppure acquistate.
Dissalarle sotto l’acqua corrente.
Nella tradizionale padella di ferro nera (sartàschene, fresòla gnore, frèsola de firre) preparare il soffritto con un buon olio extravergine d’oliva, aglio tritato finemente e le alici (tenendone un po’ da parte).
Soffriggere senza fare colorire troppo, facendo sciogliere le alici
Ecco il soffritto pronto con le alici sciolte.
Aggiungere i pomodori a pezzi (ottimi i fiaschetti) lasciandone alcuni interi (li romperemo dopo con il cucchiaio). Questo accorgimento servirà a inserire nel sugo, che si sarà ristretto, della polpa di pomodoro che, pur cotta, non ha perso il suo liquido, trattenuto nel suo contenitore naturale.
Il pomodoro cuoce, ci vorranno venti/trenta minuti.
Ora bisogna spaccare i pomodorini interi con un cucchiaio di legno.
Il sugo è pronto, aggiungere le alici tenute da parte e non girare per non spappolarle.
A questo punto il sugo alla Sangiuannidde sarebbe già pronto secondo la tradizione orale trasmessaci dagli scrittori baresi Luigi Sada, Giovanni Panza e Alfredo Giovine.
Per completarlo esistono alcune varianti – diciamo così – familiari e cioè l’aggiunta di prezzemolo tritato e/o peperoncino a piacere (non troppo perché non deve pizzicare ma solo esaltare), oppure, come facevano mia madre e mia nonna, di capperi sott’aceto (oppure, se si preferisce, dissalati) e origano secco. Regola barese vorrebbe il prezzemolo, ma io metto, appunto, capperi, origano e poco peperoncino. Regolare, quindi di sale facendo tanta attenzione (le alici sono salate!)
A questo punto versare i vermicelli, che avremo cotto in abbondante acqua salata.
Rimestare i vermicelli.
“Saltare” i vermicelli a fuoco vivace per fare assorbire bene il sugo.
Dopo averli “saltati” devono presentarsi così, ben avvolti dal sugo.
Ecco il dettaglio dei vermicelli dopo averli amalgamati.
Impiattarli come si vuole, anche semplicemente versandoli in un piatto. Questa è la foto di un impiattamento più elegante, usando un piatto “cappello di prete”, per fare miglior figura con i commensali. Ma un altro tipo di piatto andrà benissimo.
Dettaglio di una forchettata di vermicelli alla Sangiuannidde.
Se avanzano sono ottimi anche la sera, dopo averli rapidamente riscaldati.
Se seguirete questo procedimento, guardando anche con attenzione le fotografie che servono proprio a trasmettere colori e densità giuste, vi assicuro che il risultato sarà strepitoso.
Non si è ancora arrivati, con la tecnologia, a trasmettere profumi e sapori, ma il rispetto di tutti questi semplici passaggi ve li riporterà certamente nel piatto. Buon appetito e, soprattutto, buon divertimento.
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Sei stato semplice e chiarissimo appena avrò modo di preparare questo piatto ti farò sapere la reazione dei commensali. A presto.